Alcune domande su Mirella Bentivoglio e la Biennale 78

Rosaria Abate risponde allo studente Andrea Repetto:

Com’era Mirella dal punto di vista umano?

Naturalmente sappiamo bene che la personalità di un artista non è responsabile del suo prodotto, della qualità del valore estetico, e che spesso (ne è ricca di casi la letteratura artistica), si è cercato di mettere in evidenza il temperamento di un artista, o episodi della sua biografia, con le proprie realizzazioni. Questo è del tutto superato, però è anche vero che lei si sta occupando di Mirella Bentivoglio come organizzatrice di mostre, e che la digressione sulla sua natura umana è piuttosto interessante, soprattutto può incuriosire chi non ha avuto la fortuna di conoscerla. Mirella Bentivoglio è stata una personalità del tutto singolare. Non solo per la forza, il magnetismo che sapeva emanare, ma anche per la sua assoluta ambivalenza. Era (almeno ai miei occhi, l’ho conosciuta da anziana) individualista, a tratti perfino solitaria, eppure nello stesso tempo estremante socievole, estroversa, dalla risata inconfondibile e dalla conversazione brillante. Egocentrica alla lettera, nel senso di essere pienamente centrata su se stessa, e dunque anche corazzata, imperturbabile, distante dagli altri (i suoi problemi di udito hanno finito col riassumere o accentuare queste caratteristiche), eppure sensibile come poche persone. Quando mi lesse per la prima volta gli scritti selezionati per La guerra in piccolo, non potei nascondere la commozione per la verità che storicamente io non potevo conoscere in modo diretto, ma che trapelava dalle parole di quei suoi brevi racconti. La cosa molto importante, collegata alla analisi che lei sta svolgendo, è che nonostante fosse così centrata sulla propria personalità, consapevole del suo valore creativo e culturale, lei considerasse la promozione delle sue colleghe una vera missione,  spendendosi senza sosta per promuovere l’altrui talento con generosità autentica. Non nutriva mai egoismo o competizione quando si accorgeva della creatività di un artista, uomo o donna che fosse, ma si impegnava perché quel valore venisse riconosciuto. Nel caso delle donne, questo è stato un compito con uno scopo  cui lei teneva particolarmente, non per contrapporre l’operato femminile a quello maschile, ma per contribuire a quel pareggiamento artistico, e più genericamente socio-culturale, che per retaggi ed errori, come sappiamo non è stato ancora raggiunto.



Come ha conosciuto Mirella? Ha qualche aneddoto che vorrebbe condividere della vostra amicizia o su Mirella in generale?
Non è stato difficile raggiungerla. Conobbi Mirella Bentivoglio nel 2004. Io avevo scritto la tesi di Laurea sulla sua attività artistica. E la mia relatrice, la professoressa Rosalba Zuccaro, mi diede il suo numero di telefono perché gliela facessi leggere prima di discuterla, per avere delle conferme o eventuali correzioni da parte sua. Da allora siamo restate in contatto, e mi fece svolgere piccoli compiti, finché non mi sono proprio dedicata a revisionare tutta la sua bibliografia e ad assisterla per alcune necessità soprattutto organizzative (redigere testi, spedire sue email, ecc..). Sul sito è pubblicato Ben ti voglio,  un mio testo in cui racconto una delle tante cose che mi colpì di lei:  https://mirellabentivoglio.it/mirella-bentivoglio-in-un-ricordo-di-rosaria-abate/


C’è un motivo o un evento particolare che spinse Mirella a divenire un’artista, e una critica ?
Di sicuro non ve ne è solo uno. Ci sono diversi fattori che hanno portato Mirella Bentivoglio a essere ciò che è diventata, che si rintracciano in tanti ambiti, anche per coincidenze, poiché lei credeva nella magia del caso. Proverò a enumerarli. Bisogna dire che che fin da piccola è cresciuta in mezzo ai libri (suo padre, il Professor Ernesto Bertarelli, medico e scienziato, è stato anche un bibliofilo, e Presidente delle edizioni Hoepli). Vi è poi un episodio giovanile – rievocato nella poesia Tempo di bombardamenti, dedicata a Magritte per l’immagine surreale in cui un orologio della stazione, colpito dalle bombe, diventa il “cerchio vuoto” dove “passano  nuvole”, e non il tempo – attraverso il quale l’artista riferisce di aver percepito il linguaggio come l’unica cosa concreta, tangibile, in quella realtà esistenziale in completo disfacimento. Altro elemento: Mirella aveva una cugina pittrice, Maria Teresa Cavalli, moglie di Renato Vernizzi, artista legato al chiarismo lombardo, la cui vicenda umana non molto fortunata sul piano della salute le impedì di far emergere tutto il suo estro creativo. Secondo me questa perdita è stata da Mirella Bentivoglio molto interiorizzata: ha percepito da vicino le conseguenze di quell’errore, la rimozione storica della creatività di una donna cui era molto legata. Ad ogni modo, proprio con Renato Vernizzi,  Mirella Bentivoglio ha cominciato a occuparsi di arte, a svolgere mansioni di segreteria per la sua galleria, e a organizzare eventi; e a livello creativo, i suoi quadri figurativi giovanili risentono molto dell’impronta cromatica di Vernizzi e di Maria Teresa. Dopo il matrimonio, Mirella ha incrementato moltissimo anche la scrittura giornalistica per settimanali e quotidiani. Bisogna poi aggiungere che in tutta la sua lunga vita, ma già da ragazza, ha incontrato, anche per il livello culturale della sua famiglia, moltissimi personaggi. Incontri arricchenti, senza dubbio, potremmo dire “fertilizzanti” per usare una parola che le sarebbe certo piaciuta. Mi raccontò di aver danzato a un ricevimento con Adriano Olivetti, una volta; o di aver conosciuto Luigi Broggini, l’artista ideatore del cane a sei zampe dell’Eni. Andò a conoscere Ben Shahn a Spoleto prima di lavorare alla sua monografia, e non sapendo dove abitava di preciso, lo chiamò dalla piazza affinché si affacciasse!  E poi, quanta intelligenza è passata per la sua bella casa ai Parioli… Mario Praz, Gillo Dorfles, Palma Bucarelli, Carlo Belli, Filiberto Menna. Aggiungo anche un altro aspetto, per altro da lei sempre dichiarato,  ritenuto responsabile della sua identità, vale a dire la sua istruzione non convenzionale: aver studiato in collegi, tra l’altro all’estero, senza aver seguito un percorso formativo regolare e nemmeno incentrato sull’arte, l’ha aiutata a trovarsi a proprio agio in ciò che è ibrido, misto, plurisignificante.

Quale criterio venne utilizzato da Mirella per selezionare le artiste presenti in Biennale?
La mostra Materializzazione del linguaggio si svolse nel 1978. Ma Mirella cominciò molto prima a organizzare mostre, e a organizzare mostre al femminile. La prima occasione fu nel 1971, al Centro Zonta International di Roma; e poi a Milano nel 1972, al Centro Tool di Ugo Carrega. Mirella Bentivoglio operava nell’ambito verbovisuale, e aveva già partecipato a mostre internazionali di questo tipo di ricerche sperimentali. Lei stessa ricorda nei suoi scritti, ad esempio nel testo per il catalogo della Donazione Bentivoglio al Mart di Rovereto, che nella rassegna internazionale tenuta ad Amsterdam nel 1969, allo Stedelijk Museum, le esponenti femminili operanti nelle avanguardie novopoetiche costituivano solo il due per cento del numero complessivo dei partecipanti: ed è per questo che Carrega le propose di organizzare una mostra al femminile per il suo spazio, per garantire una panoramica completa e internazionale, nonostante le dimensioni ridotte destinate all’evento espositivo (si trattava di un garage). Dopo di allora gli eventi cominciarono a moltiplicarsi, e a svolgersi in varie città. Dai primi contatti stabiliti per la mostra da Carrega, grazie al passa-parola dei colleghi, Bentivoglio entrò in contatto con operatrici di vari paesi e questa rete si allargava sempre di più in modo che i “censimenti”, come definiva queste mostre aperte a richiamare un numero sempre maggiore di partecipazioni femminili, effettivamente crescessero contribuendo a dimostrare che “mancavano notizie e non qualità” del lavoro estetico della donna. Dunque quado le mostra intercodice, tra linguaggio e immagine, approdò alla Biennale, contava ottanta artiste internazionali, la cui selezione era il prodotto, la risultante di questo continuo lavoro di relazione, contatto, accrescimento, che Mirella Bentivoglio aveva già intrapreso, e che trova un’anticipazione a Venezia, nel 1976, alla Galleria Il Canale.


Che tipo di rapporto aveva Mirella con le altre artiste della Biennale ?
Credo di aver implicitamente risposto a questa domanda, perché innanzitutto questa relazione come le dicevo si è andata incrementando negli anni e  l'”indirizzario” di Mirella si era notevolmente arricchito; Bentivoglio stabiliva continui aggiornamenti mediante il fitto carteggio con molte protagoniste. Come ho anche già espresso, curava moltissimo l’altrui talento, e queste artiste sono state spesso  da lei presentate anche in occasione di mostre personali. Mirella Bentivoglio ha contribuito a farle conoscere e a rafforzare il loro stesso coraggio di esporsi. 

 Si ricorda quando il presidente Carlo Ripa di Meana le attribuì il compito di curare la mostra in Biennale, e che tipo di rapporto vi era tra i due ? (so che era stata chiamata in extremis per aumentare il numero di artiste donne in Biennale)
Non so se vi fosse un rapporto di conoscenza tra loro, però è vero che Mirella Bentivoglio fu convocata d’urgenza (e infatti il catalogo di Materializzazione del linguaggio era stato pubblicato per le edizioni della Biennale separatamente): e la ragione fu proprio quella di compensare con una mostra internazionale di sole donne la scarsa presenza di partecipanti femminili negli altri eventi e rassegne della Biennale 78. Quella carenza non sarebbe certo passata inosservata, data la militanza femminista di quegli anni, e sarebbe stato rischioso non rappresentare adeguatamente la donna all’interno della principale manifestazione internazionale dedicata alle arti visive.

 Che riscontri ha avuto l’esposizione al magazzino del sale in quegli anni? Si poteva definire un successo, o solo ora si inizia a capire  la reale importanza ?
L’importanza di questa manifestazione sicuramente è andata crescendo negli anni, considerato quanto ancora oggi se ne parla, e  venga riattualizzata (con la riedizione del catalogo, o la rassegna in preparazione a Bolzano, Ri-Materializzazione del linguaggio). Ma già da allora deve aver attivato dei cambiamenti significativi e ne sono stati riconosciuti il successo e il valore. La motivazione dell’invito già lo induce a pensare: si trattava di una mostra aperta, non limitante, in grado di rappresentare significativamente l’azione culturale e aggiornata di una rete solidale di artiste donne. Basti pensare che le rassegne al femminile che sotto la guida di Bentivoglio si erano tenute regolarmente in varie città italiane (Savona, Il Brandale; Roma, Artivisive; Torino, Tuttagrafica; Bari, Expo ecc..), in seguito alla rassegna veneziana del ’78 cominciano a trasferirsi anche all’estero in città come New York, San Paolo del Brasile, Washington ed Helsinki, e sempre legata a sedi istituzionali di livello, come università, esposizioni biennali e istituti di cultura (con numero sempre crescente delle partecipanti, tanto è vero che dieci anni dopo la citata mostra di Amsterdam, la percentuale delle esponenti tra linguaggio e immagine nelle esposizioni “miste” si era decuplicata). Ma vi era un altro aspetto che conferì un certo successo a quella rassegna veneziana. Si trattava dell’unica manifestazione, nell’ambito della Biennale 78, in cui venivano rappresentati i Paesi dell’Est sovietico, visto il divieto dei governi comunisti di partecipare alla manifestazione, in risposta alla precedente edizione della Biennale, presieduta da Ripa di Meana e curata da Enrico Crispolti, dedicata al dissenso nei paesi oltre cortina. Mirella Bentivoglio e le artiste dell’est con cui aveva stretto contatto erano riuscite, proprio grazie alla rete personale stabilita, spinte dal senso pratico che spesso accomuna le donne, a eludere il divieto politico e superare la cortina di ferro poiché la curatrice si era fatta spedire, in forma privata, opere dichiarate come libri, giocattoli, o altri materiali che sarebbero stati montati e allestiti direttamente in Italia per la rassegna.


Ricorda qualche opera/ artista in particolare che l’ha colpita durante la rassegna della Biennale del ’78?
Io avevo avuto modo di vedere molti dei materiali che Mirella Bentivoglio ha donato al Mart nel 2011, ma è difficile stabilire chi mi abbia più colpito, si tratta di artiste davvero molto interessanti. Penso inoltre che il fascino di queste mostre al femminile sia dovuto anche alla coralità, al fatto che la creatività di queste artiste non fosse notevole soltanto singolarmente, ma nella relazione, nell’allestimento che doveva venire a crearsi: opere tridimensionali, grafiche, fotografiche, video e azioni, accomunate dalla peculiarità di saper stare nel mezzo, essere espressione intercodice. E infatti Mirella Bentivoglio sapeva rintracciare delle matrici comuni nella poetica delle sue artiste, anche quando adottavano indirizzi di ricerca, materiali e strumenti di lavoro completamente diversi. Come l’impiego della tessitura, per esempio: Mirella riconosceva questo archetipo deposito nella donna non perché tutte le artiste fossero propense all’uso dell’ago, ma perché spesso in modalità materica, concettuale, metaforica, analogica, richiamavano con una innegabile presenza il linguaggio del filo.

C’è un lato del lavoro di Mirella che secondo lei meriterebbe di essere evidenziato, in quanto ancora in secondo piano ?
Mirella Bentivoglio ha una notevole bibliografia. Molti hanno scritto del suo lavoro, nonostante non vi siano monografie e cataloghi completi, che lei stessa avrebbe potuto realizzare, capace come era di rivelarsi con chiarezza in diverse autopresentazioni critiche e dichiarazioni di poetica. Ma era molto presa dagli aspetti del suo lavoro, creativi, curatoriali, piuttosto che incentrata a edificare il proprio monumento. Anche se molte cose sono state affrontate da diversi critici e studiosi, quando ho redatto la mia ricerca di studente arrivai a una conclusione che non mi era parsa mai affrontata da nessuno. Ovvero che Bentivoglio critico non è separabile da Bentivoglio artista. Ora bisognerebbe addentrarsi in ciò che scrissi per argomentarlo, ma basti pensare come lei sia stata capace di presiedere alle sue stesse mostre in entrambe le vesti. Sicuramente vi sono molti aspetti che continueranno ad essere approfonditi, visto l’interesse crescente del suo duplice ruolo. Io credo che molto importante sia questo,  che forse non è mai stato apertamente espresso, nemmeno da lei stessa, e che riguarda la sua creatività: Mirella Bentivoglio come artista ha saputo muoversi nei diversi indirizzi tra parola e immagine, come la poesia concreta e quella tecnologica, il libro-oggetto, l’azione ed ha sempre mantenuto una coerenza straordinaria nei confronti della ricerca verbovisiva con risultati davvero originali e temi ancora oggi attuali. E, pur essendo conforme e puntuale nei confronti dell’indagine logoiconica, ha spesso intersecato altri indirizzi di ricerca dell’arte contemporanea, mutuandone i linguaggi, al punto che sue opere potrebbero prender parte in rassegne dedicate alla Land Art, al citazionismo, alla performance, e persino all’arte cinetica. Questo è un aspetto piuttosto attraente da indagare, e che potrebbe essere approfondito a livello critico e curatoriale.
19 settembre 2022