Reliquia, stoffa, plastica, marmo
sulla base visibile del piedestallo, a sinistra, titolo; sullo zoccolo, firma e data
Mirella Bentivoglio, Materializzazione del linguaggio, Electa per la Biennale, Venezia, 1978
La bugia, 2005
Mirella Bentivoglio (a cura di), Materializzazione del linguaggio, Venezia, XXXVIII Esposizione Internazionale d’Arte, Magazzini del Sale alle Zattere, 20 settembre – 15 ottobre 1978
Nella storica rassegna internazionale al femminile Materializzazione del linguaggio (1978), “corporea” indagine nell’area intermedia tra più codici di espressione, era presente una sezione dedicata ai manufatti antropologici, alle testimonianze popolari, perché, secondo la curatrice Mirella Bentivoglio, in essi era depositata la creatività domestica della donna, in quegli “archetipi” come il ricamo o il cucito, che si tramandavano tra le generazioni garantendo una continuità di linguaggio. Sul catalogo della mostra è riprodotto un oggetto di questa sezione, un reliquario del XIX secolo dedicato a Santa Rosa: ed è infatti una rosa di stoffa, cucita da anonime mani femminili, a collegarsi proprio al sacro resto dell’urna, un frammento ex habitu della giovane Vergine. L’artista ha fatto proprio questo oggetto, dandogli un titolo e presentandolo sul piedestallo come opera d’arte. Il nome come seme, perché il nome del fiore coincide con quello Santa, e questa artificiale sembianza vegetale custodisce il suo seme nel sacro cimelio di stoffa, quasi a suggerire un germinativo principio del linguaggio affidato al tessuto. E’ molto interessante pensare come l’artista adotta e assimila, per realizzare questo lavoro, addirittura il ricordo sacro di una Santa, le cui gesta oltre la vita terrena, fra l’altro, appaiono legate proprio al tema del corpo, della sua incorruttibilità e resistenza nel tempo.
Spesso Mirella Bentivoglio ha scelto di adottare elementi provenienti da un’altra natura, estetica, artigiana o puramente esistenziale, ricorrendo più volte a oggetti desunti da un contesto lapidario, cimiteriale, lugubre e mortuario. Tuttavia, nei prelievi dell’artista, quella dimensione funerea si perde completamente e, per usare una espressione a lei congeniale, riesce a “voltare di segno” quella provenienza, per lasciare spazio soltanto all’estensione vivifica dell’arte. Rosaria Abate