carta recuperata (da manifesti pubblicitari) montata su telaio
sul fronte in basso a destra, firma e data '"66"
sul retro di lato, titolo, firma e data '58 e scritta autografa: "solo più tardi riconosciuto come poesia visiva"
La bugia, 2005
L’opera è un object trouvé della fine degli anni Cinquanta, anche se è presentata come fosse un dipinto parietale. Si tratta di un pannello con immagini e striscioline verbalizzate, come le opere del movimento fiorentino degli anni Sessanta che, all’epoca della “scoperta”, ancora non costituiva un gruppo formato; inoltre a quella data, Mirella Bentivoglio non produceva ancora consapevolmente opere di sperimentazione verbovisiva. Si tratta di un prelievo, e dunque di una presentazione come oggetto d’arte, ribattezzato secondo i dettami dell’avanguardia nel 1966. La materia cartacea, a strati, è evidenziata nel suo spessore da graffi, sfregamenti, penetrazioni. La lieve colorazione proviene dal tempo, dalle vecchie colle, in qualche modo tattilmente stimolate. Il termine del titolo è coniato dalla contrazione di Texte e trouvé, fuse insieme. Vi sono rappresentati i segni della contemporaneità: lo schermo del cinema, il convegno, ecc.. Il mondo del consumismo vi è solo in qualche modo alluso, mediante la carta consumata, e non strappata al modo dei decollage. La ricerca dell’artista è partita da lì, prima prova conservata e presentata come opera (ridatata nel 1966): dai significati nelle “pattumiere della visualità”, per usare le sue stesse parole. Probabilmente è stata rintracciata in qualche laboratorio, dove Bentivoglio raccoglieva prove scartate e buttate via, immagini sovrapposte per prove di inchiostri, ecc.. O ai bordi della strada, punti di riferimento nel suo lavoro. Nel 1964, grazie a un articolo mostratole dal marito, Mirella Bentivoglio aveva appreso dell’esistenza della Poesia Concreta. Ma in realtà aveva già fatto Poesia Visiva prima di conoscere e dedicarsi alla Poesia Concreta. Rosaria Abate